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Anno 1346 AF 
- Primo giorno di Nauroz
Yndiria meridionale

Gane strinse la cintura del messaggero, e con un grugnito lo strattonò con tanta forza da fargli fare un giro completo su sé stesso; la spada kora che mirava alla testa canuta sibilò innocua finché non incontrò la scaffalatura dell'armadio con una sonora staffilata.

<<Scappa, vecchio!>>

L'uomo dai bianchi capelli e lunghe orecchie leporine raccolti da una cordicella non si fece ripetere l'esortazione, correndo oltre l'arco in muratura senza neanche curarsi di detergere il sangue che gli stava colando nell'occhio destro.

<<Che cosa pensi di fare, pivello? Questo è tradimento!>>

Uno dei quattro mercenari sfoderò la propria kora, puntando l'aguzza lama rettangolare al petto di Gane, anch'egli nella grigia uniforme della LEGION, mentre il compagno d'armi recuperava la propria spada incastrata.

L'ufficio della fureria era illuminato soltanto dalle candele della stanza attigua, che tremolarono al passaggio del fuggitivo, proiettando ombre minacciose sulla parete.

<<Djinn benedetti, stiamo calmi! Volevate veramente ammazzarlo per una sciocchezza simile? Non pensat->>

Il più corpulento dei merc, uno scuro azdan dalla mascella sporgente e i capelli ondulati, afferrò Gane per il bavero e gli mollò una testata sul volto, facendolo cadere con violenza contro l'armadio delle vettovaglie del capitano. Uno degli altri soldati, un Midlandiano dai capelli biondo cenere come quelli di Gane, sputò in terra e rise.

<<Sono sette git per la testa di un traditore.>>
<<Anche di più se lo consegniamo al sergente Diciannove.>>
Gane non attese oltre.
Sfruttando l'esitazione dei suoi aguzzini, si issò in piedi con uno strattone del braccio 
destro, che usò contemporaneamente per trascinare a terra l'armadio al quale si stava sorreggendo.

Il mobile con tutto il suo contenuto – carte, raccoglitori, scrigni, mensole – e il pluteo a esso collegato rovinarono sui mercenari, fra i loro improperi.

Gane superò l'arco, corse nell'anticamera e calciò contro il tavolo la prima sedia che gli capitò sottomano, abbattendo il candelabro che rischiarava la stanza, facendola così piombare nel buio.


Varcata la soglia della fureria si ritrovò nella piazza d'armi, che data l'ora era vuota, eccezion fatta per le distanti guardie perimetrali e i piantoni del campo; decine di faraglioni di roccia svettavano oltre le mura attorno alla base della LEGION, emergendo dai verdi campi come scogli fra i flutti, e si snodavano fino alle pendici più sud- occidentali delle Alpi Nuvhaloriane.

La fredda aria serale di inizio Vèria fu come uno schiaffo in faccia, ma Gane non se ne preoccupo'. Il giovane chiuse la porta alle proprie spalle, con mani tremanti estrasse una chiave dalla grigia giubba e dopo due mandate la spezzò nella serratura.

Con un passo deciso ma non troppo rapido si diresse verso le stalle limitrofe, dove sapeva che avrebbe trovato il vecchio: i bamuri stavano strepitando a pieni polmoni, e solo un intruso poteva determinare un simile chiasso. Nel frattempo, le urla dei quattro merc lo raggiunsero, ma con una rapida occhiata valutò di essere l'unico a distanza sufficiente per sentirli.

<<Ho ancora qualche minuto.>> mormorò; come a smentirlo, nella notte risuonò un'alta nota di tromba. Le mura si illuminarono di torce nel giro di pochi istanti, e dalla caserma principale si alzarono i rumori normalmente riservati alla prima mattina e alle esercitazioni. La tromba risuonò ancora, con un ritmo frenetico.

Gane aggrottò la fronte, riconoscendo il segnale di un attacco esterno, e senza più curarsi di mantenere una parvenza di normalità scattò verso le stalle.

Saltò il gradino della porticina di servizio, e si ritrovò avvolto dall'odore di stallatico dell'ampio edificio in cui venivano accuditi i bamuri e gli oxen da traino della caserma; davanti a una strana biga che occupava tutto lo spazio del primo recinto individuale della stalla, vi era il vecchio con le mani alzate sopra la testa, sotto tiro dello stalliere in canottiera che aveva imbracciato una grossa balestra.

<<Presto!>> urlò Gane, attirando l'attenzione del militare. <<Lascia stare quel vecchio scemo, sta scappando perché se l'è fatta sotto. Dobbiamo preparaci all'attacco!>>

Lo stalliere abbassò l'arma.

<<Ho sentito l'allarme e- e non ha senso. Nessuno attaccherebbe una caserma della LEGION.>>

<<Ti sbagli! È un intero contingente militare: predoni Dalariani, o non-so-cosa.>> rispose subito Gane, avvicinandosi e strattonando il commilitone per portarlo verso l'uscita.

<<Ma... è impossibile! Edenn benedetto, come hanno fatto ad attraversare i confini senza essere avvistati?>>

<<Non ne ho idea, ma ora tu devi ascoltarmi bene e fare quello che ti dico, chiaro?>>


 

<<Si, certo!>> annuì lo stalliere, con gli occhi spalancati a rendere ancor più puerile il suo volto imberbe.

<<Perfetto.>> esclamò Gane con una pacca sulla spalla, e gli piazzò una testata al setto nasale, non altrettanto brutale ma ben più precisa di quella subita poco prima; il giovane mercenario scivolò al suolo privo di sensi.

Il vecchio e il ragazzo condivisero un rapido sguardo e un sospiro; il trambusto all'esterno risuonò ancor più violento, ora arricchito da grida allarmate e colpi di proiettile.

<<Eleon, non so cosa stia succedendo e spero di non essere stato profetico con la mia balla dell'essere sotto attacco... ma potrebbe andare a nostro vantaggio. Puoi far funzionare la biga?>>

L'uomo dalle orecchie leporine si scosse dallo stupore a bocca aperta, balzò in piedi e scostò con delicatezza il grosso becco arancione di un bamuri che dal proprio recinto cercava di raggiungere le granaglie della prima mangiatoia.

<<Seguro! Molto distanti dal Nuvhalore, ma io posso fare. Più veloce che tu può dire– oh, karash-ni-turgal.>>

Gane piroettò di scatto, seguendo lo sguardo del vecchio.

Nell'ampia struttura dell'entrata delle stalle si ergeva un alto azdan in uniforme, decorato da piccole placche dorate sul petto e tatuaggi del Verbo sulla testa calva; cinque Legionari lo seguivano con balestre e picche spianate.

<<Diciannove!>> sibilò Gane muovendo d'istinto un passo all'indietro.
<<Disertare durante un attacco è stata una pessima scelta, mezza sega.>>
L'azdan avanzò abbassandosi in una posizione di guardia, lento e cauto, e con un gesto


 

tanto fulmineo quanto inatteso estrasse con la mano destra una lunga sciabola appesa alfianco opposto; contemporaneamente mollò un gancio sinistro indirizzato alla mandibola di Gane.

Il ragazzo si gettò all'indietro per schivare, alzando il braccio destro per proteggersi; l'allungo e la precisione del suo avversario, però, erano maggiori di quanto egli avesse calcolato: se anche la lama ricurva vibrò a vuoto, le nocche di Diciannove si schiantarono sulla mascella di Gane. I suoi sensi si affievolirono mentre sangue e pezzi di dente spezzato schizzavano via dalla bocca, e il pavimento in terra battuta sembrava avvicinarsi al rallentatore.

Gli attimi seguenti furono un carosello di suoni e immagini; due mercenari lo sollevarono di peso, trascinandolo verso l'esterno e imprecando qualcosa circa un “traditore che li aveva venduti tutti”; il vecchio fu colpito al ventre da un calcio del sergente, e iniziò a strisciare verso la propria biga, sotto alla sciabola dell'azdan che veniva alzata verticalmente sopra alla sua colonna vertebrale.

E, improvvisamente, un boato colossale deflagrò nel buio.

L'entrata principale, dalla parte opposta della piazza d'armi rispetto alle stalle, esplose fra fiamme e detriti, con una detonazione tale da scuotere Gane dal trauma.

Entrambi i militari che lo stavano trascinando si gettarono a terra.

In un attimo fu il caos: un'infinità di colpi di proiettile risuonò nella notte, che si riempì di grida, schiamazzi e schianti; i muggiti degli oxen e lo starnazzare acuto dei bamuri sovrastavano ogni altro suono.

Diciannove si voltò, la sua espressione sconosciuta a Gane; le labbra erano dischiuse in una grande O, e gli occhi privi dell'abituale intensità. Il ragazzo si tolse di mezzo più in fretta che poté, inciampando e cadendo a terra, e l'azdan lo sorpassò mormorando come un ossesso “Hazahar... Hazahar...”, con i merc che l'avevano accompagnato che si affrettavano per raggiungerlo.

Nel trambusto che si intravedeva attraverso le porte della scuderia, Gane scorse un'imponente sagoma emergere dalle fiamme presso l'entrata della caserma. L'uomo avanzava con calma verso un intero contingente della LEGION, rischiarato dai proiettili che gli si infrangevano contro senza sortire alcun effetto, come se fosse stato una lastra di acciaio semovente. Con una semplice torsione del polso roteò un arcaico spadone, caricaturale per le dimensioni, e balzò svariati cubiti più avanti, travolgendo la prima linea di archibugieri.

<<Che sogno assurdo.>> pensò Gane prima di scivolare nuovamente nell'oblio, e l'ultima cosa che vide quella notte furono le mani di Eleon, che lo trascinavano dentro alle stalle.