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La Gemella di Antikythera

Un archeologo marino ottiene dal proprio mentore un'eredità più scomoda del previsto, e solo il mare avrà una risposta per i suoi problemi.

 

 Terzo classificato al concorso letterario-artistico TraMare indetto da MdS Editore"





Il ronzio atono del notaio bloccò ogni slancio dinamico all'interno della stanza. L'afa si insinuò dentro all'abito di Augusto, ed egli iniziò a perspirare.
Come in un acquario, rifletté, e si allentò il nodo alla cravatta, facendo stridere le gambe metalliche della poltroncina su cui era seduto.
Tre sguardi spostarono il proprio peso su di lui, e due di questi non celavano la propria ostilità; il ticchettio della pendola a colonna risuonò all'interno della stanza sigillata con una distinta eco. “... e infine,” proseguì il notaio, riprendendo a leggere, “ad Augusto Balzarro lascio il motor-yacht 'Anti-Antichi-'” “Antikythera.” concluse per lui proprio Augusto, suscitando questa volta uno sbuffo da parte del biondo trentenne seduto al suo fianco.
“Mi rifiuto di lasciare lo yacht di mio padre a questo arrampicatore sociale.” disse Philippe, che dal padre aveva appena ereditato un centinaio di milioni di euro in beni immobiliari spalmati fra la Polinesia e Cannes. “Io ho lavorato quindici anni con tuo padre e non gli ho mai chiesto una lira... ma sarei un arrampicatore sociale? Cosa si dovrebbe dire di te, Philippe?
“Io sono solo preoccupato per il valore affettivo di un oggetto che con te andrebbe sprecato!” si affrettò a precisare il giovane erede, con gli occhi spalancati come a suggerire oltraggio giustificato.
“Non ho finito, monsieur Delay, dottor Balzarro.” replicò il notaio, dimostrando che forse si, poteva risultare addirittura più indifferente a tutto ciò che esulasse dalla lettura delle ultime volontà del Prof
essor Delay, raccogliere le tre firme dei suoi eredi, e con esse una parcella che lo avrebbe mandato in pensione anticipata. “- Anti-kythe-ra,” riprese esattamente da dov'era stato interrotto, “come parziale pagamento della locazione della stessa all'interno del rimessaggio della famiglia Balzarro per gli anni dal 1986 al 2014, e per le manutenzioni effettuate dal Dottor Augusto dal 2002 in poi.”
La lettura si fermò, e con essa la monotonia. “La Antikythera non è uno yacht da diporto, ma uno degli innumerevoli battelli che suo padre usava per le ricerche archeologiche, monsieur Delay... modello identico ai nove già ereditati da lei e sua madre. Se volesse invocare il valore affettivo, dovremmo perlomeno stabilire di quale singolo esemplare si tratti.”
Philippe annaspò prima di imporporarsi in volto. “Nondimeno, quest'uomo può aver abbindolato mio padre, ma io mi rifiuto-” Lo schiocco della lingua della vedova Delay zittì il figlio; in un furente sibilo francofono lo redarguì: non-era-elegante-mostrarsi-avidi, l'italiano-avrebbe-avuto-il-suo-regalo.
E così fu. Fra colonne doriche di basaltite nera, incongrue sul marmo bianco del pavimento, Augusto firmò per impossessarsi legalmente di una barca che era affettivamente già sua da vent'anni, eppure lo fece con un disagio forse mutuato da un'inconscia premonizione: con essa, a sua insaputa, giungevano anche altre eredità.



Augusto si allontanò dagli uffici cittadini nella caligine di quel torrido diciannove Giugno, illuminato dal riflesso argenteo del sole sul mare; con la Antikythera il Professore gli aveva lasciato tutto il materiale che si trovava a bordo, di cui il notaio gli aveva fornito una lista 'da verificare al più presto', lo aveva ammonito.
La lista più inutile di sempre. Augusto aveva lavorato vent'anni, su quella barca.
'Un navigatore GPS Swedenborg; una... cassetta di pronto soccorso verificata il 12/04/2013 da SafetyCo?'
La lista, oltre a essere inutile, era sbagliata.
Il Professore non aveva mai voluto alcun tipo di materiale medico a bordo di una delle sue imbarcazioni: 'malchance', diceva. Ma il dettaglio della cassetta di pronto soccorso con tanto di data e revisore era degno di nota, considerando che era stato aggiunto da una persona dalla precisione maniacale. Che il Professore gli avesse lasciato un ultimo addio, occultandolo alla cupidigia della propria famiglia?
Augusto lasciò perdere l'elenco, uscì dall'autostrada, e affrontò con smania il lento intreccio di tornanti che conducevano alla costa; il bruciante frutto della curiosità gli cresceva in petto.
Svoltò oltre una cortina di verdi fusti di saguaro dalle spine acuminate, e in una macchia di agavi e ginestre secche apparve il suo appartamento, sopra al canale di reflusso che mormorava delle onde marine.
La Antikythera spiccava oltre il buio sottopassaggio nella baia antistante; sembrava nuova di cantiere, grazie al carenaggio e ai lavori di ristrutturazione che il Professore aveva voluto per tutte le proprie imbarcazioni poco prima di ammalarsi. Augusto stava per rimettere piede sul proprio posto di lavoro dopo tante settimane di assenza, con la speranza di un ultimo addio del suo mentore.
Si fermò.
Due macchine della polizia erano parcheggiate davanti all'entrata di casa. La tachicardia dovuta all'emozione mutò, facendosi più profonda, e nel petto di Augusto iniziò a battere il ritmo dell'ansia.
Frenò dolcemente, e lo stridore di gomma su ghiaia non giunse fino alle forze dell'ordine; imboccò la retromarcia, tornò sulle proprie tracce, e lasciò il veicolo dietro ai cacti.
Si avvicinò all'acqua, percorrendo l'ultimo tratto che lo separava dalla banchina con la copertura del fitto canniccio circostante alla propria abitazione.
Il suo cuore batteva sempre più forte, oppresso da una sensazione di malaugurio a cui non avrebbe saputo dare un nome; la calura gli asciugò la gola, mozzandogli il fiato a tempo con i passi sul legno del molo, sulla passerella della Antikythera, oltre le sue porte sempre aperte, fino alla cabina.
Augusto inspirò con tanta forza da imprimere un tono stridulo al fiato, ed espirò urlando.
“Cristo Gesù!”



A terra al centro del vano spiccava un corpo nudo, immobile, irriconoscibile non per la quantità di sangue che pesava sulla scena come un'immonda rugiada, quanto per la mutilazione subita dal viso.
Augusto corse all'esterno, e vomitò con violenza oltre il parapetto.
Un'elica da motore. Ecco cosa poteva devastare a quel modo un volto umano.
Uno dei poliziotti chiamò a gran voce il suo cognome, facendolo sobbalzare; si ripulì il mento con l'avambraccio, e tornò sull'orrenda scena del crimine.
L'odore era pesante, ma il corpo doveva essere lì da poco. Niente mosche.
“Qualcuno vuole incastrarmi.” gracchiò Augusto, con le mani tremanti che aleggiavano sopra ai comandi della barca.
E 'qualcuno' era un eufemismo: non poteva che essere Philippe.
Il figlio del Professore era un perdigiorno con la convinzione incrollabile che ognuno dei suoi enormi privilegi gli fosse dovuto.
Per Dio, aveva perso il funerale del padre mentre rientrava dalle Maldive! “Ma questo è troppo anche per lui.” mormorò Augusto fra sé. “Assassinare qualcuno per-”
“Dottor Balzarro!” giunse l'urlo, più vicino, di un agente di polizia.
Augusto strinse le mani sul timone. Premette il tasto di accensione dei motori, e il suo viso fu illuminato dallo schermo del navigatore satellitare.
La scarna grafica pulsava di fasci di luce verde su sfondo nero; la destinazione era il versante occidentale dell'isola di Cerìgo, in Grecia. Esitò per un attimo con un dito sullo schermo, decidendo infine di spegnerlo, e disattivò l'antenna.
Non sarebbe diventato vittima della meschina vendetta di un miliardario viziato.
Un bastardo che non aveva neppure tentato di apprezzare un padre premuroso, né da vivo, né tantomeno da morto. I motori iniziarono a scoppiettare al minimo, e Augusto uscì per sciogliere la gomena di ormeggio e i cavi dell'allaccio elettrico. Pian piano, la Antikythera svalicò il promontorio orientale della baia, e si allontanò verso Est, sempre più veloce e lontana dalla costa.

Settimane più tardi la Capitaneria di Porto effettuò infiniti accertamenti, che evidenziarono come l'imbarcazione di Augusto fosse rimasta ormeggiata tutta la notte vicino all'isola di Bergeggi, nella cala dove una lancia della Guardia di Finanza la ritrovò la mattina del venti Giugno. Un individuo dai corti capelli mori, gli occhi scuri e l'inconfondibile camicia floreale che Augusto aveva indossato proprio durante l'incontro con il notaio era stato denunciato anonimamente nel pomeriggio: un feroce tafferuglio, esattamente di fronte alla casa di Balzarro; l'anonimo cittadino che aveva dato l'allarme era parso tanto scioccato dalla brutalità del gesto, che la polizia aveva intrapreso immediatamente la ricerca di Augusto.
Nessuna traccia di violenza fu però rinvenuta sul natante, che il giovane archeologo lasciò a piena disposizione delle indagini, né fu trovato alcun nesso fra Augusto e gli eventi che seguirono quella notte.

Augusto spinse a pieno regime la Antikythera, e rallentò solo in prossimità di Punta Predani, dove virò verso il mare aperto, girando attorno all'Isola di Bergeggi. Fermò i motori e galleggiò dolcemente nelle acque a sud-est dell'isolotto disabitato, dove gettò l'ancora; il sole stava tramontando, eppure in quel punto preciso nessuna delle luci artificiali già accese tutto attorno lo raggiungeva: l'isola stessa lo nascondeva dalle vicine spiagge di Spotorno, e il promontorio levantino dalle rotte delle navi da crociera in partenza da Savona.
Spostò uno sguardo livido sul corpo alle sue spalle, soppresse un sussulto con una smorfia, e si protese oltre il cadavere per accedere a uno degli sportelli degli attrezzi, da cui estrasse un trapano senza fili.
Cinque minuti più tardi la targa bronzea che recava il nome Antikythera era nel lavandino, l'imbarcazione ridotta a un'anonima singolarità.
“Un'ultima fatica.” mormorò, sfilando la camicia a strattoni; una volta nudo si gettò in acqua, seguì i cavi che scendevano dalla poppa lungo la chiglia, e si mosse a tastoni fra i flutti neri come l'inchiostro. Dovette riaffiorare ben due volte per riempirsi i polmoni di ossigeno, ma finalmente trovò il transponder; ne svitò il corpo cilindrico, lo staccò dall'imbarcazione e lo lasciò andare a fondo.
Quando tornò in cabina rimise gli abiti senza attendere di asciugarsi, aprì la cassetta elettrica sotto alla consolle di comando, e strappò via i fili più esterni; la Antikythera piombò nell'oscurità senza rimedio di una notte caliginosa.
Con le luci di navigazione spente, Augusto riaccese il motore e spinse al massimo per un minuto buono prima di virare di novanta gradi verso sud-ovest; fece il cabotaggio più azzardato della sua vita, navigando a folle velocità in un buio che era letterale e tecnologico: senza riferimenti visivi se non le luci della costa, senza avvisi di profondità dal computer spento.
Quando le luci gialle del porto di Alassio riverberarono sul parabrezza dello yacht, Augusto riprese a virare lievemente a babordo, finché una luce più flebile non si sovrappose gradualmente alla cittadina turistica, circondata dall'oscurità.
“Grazie anche per questo, Professore.” disse Augusto con un sorriso.
Era arrivato all'Isola Gallinara, la cui unica luce artificiale proveniva dalla sede della Riserva Naturale... finanziata dalle enormi risorse del Professor Delmay, animata dalla sua filantropia. Con i motori al minimo Augusto costeggiò l'isola, ed entrò nel porticciolo rivolto a nord; tutto era immobile fra le colmate di cemento, simili a immense chele pronte a schiacciarlo. Mentre le acque calme del bacino sciabordarono per l'improvviso avvento di un natante, Augusto si illuminò in volto; una barca identica a quella che stava conducendo gli diede il benvenuto in porto.
Spense i motori, lanciò una gomena sciolta a guisa di lazo verso lo yacht identico al proprio, e avvicinò i due scafi a forza di braccia. Per prima cosa svitò febbrilmente il coperchio di una delle lanterne di poppa della Nemi, dove giaceva una chiavetta arrugginita.
Augusto soppresse una risata, e benedisse in silenzio la pigrizia del Professore, mentre si sforzava per aprire la cabina di pilotaggio proprio con la chiave ossidata.
Quando il meccanismo cedette alle sue insistenze, scambiò i due navigatori satellitari, e iniziò a ponderare le acque scure del porticciolo.



“Adesso devo solo-”
Una debole luce filtrò nella sagoma di buio assoluto alle sue spalle. C'era qualcuno sull'isola.
Augusto corse a poppa, dove appoggiò il trapano, e si calò nell'acqua completamente vestito.
Il freddo abbraccio del mare notturno gli mozzò il fiato, ma questa volta non c'era tempo per riemergere e prendere altro ossigeno; prese un boccata d'aria caricaturale, eccessiva, e con il freddo a pungergli la pelle, la paura a comprimergli il torace, Augusto si immerse.
La chiglia della Nemi era liscia come la carrozzeria di una macchina, e con l'esperienza di poche ore prima, trovare il transponder fu una sciocchezza; così come aveva già fatto, lo svitò e lo lasciò affondare.
Quando riemerse, Augusto non azzardò neppure uno sguardo verso la sagoma buia della Gallinara, rabbrividendo non per la brezza notturna sugli abiti fradici, ma per le voci che giungevano in lontananza.
Afferrò il trapano, lo tenne sopra alla testa, e nuotò “a bicicletta” fino alla poppa della Nemi, di cui rimosse la placca. In meno di un minuto, Nemi diventò Antikythera, e vice versa.
Infine, con scatti dovuti alla fretta, issò l'ancora e lasciò che la catena sferragliasse a terra: non aveva letteralmente più tempo.
“Qui est là?”
“Merda!” imprecò Augusto.
Doveva fare almeno un'ultima cosa.
Ignorò i richiami sempre più vicini, saltò oltre le paratie di entrambi i natanti, e corse a poppa dell'Antikythera. Spalancò l'anta del vano motori, strattonò il collettore, e portò il tubo di alimentazione alle labbra con una grande inspirazione; spruzzò fuoribordo la prima boccata di benzina, per poi irrorare con lenti, copiosi fiotti di carburante il percorso che conduceva alla cabina, la cabina stessa, il cadavere mutilato, la consolle di comando... tornato sulla Nemi, sciolse la gomena che ancora univa le due barche, raccolse il trapano, e calò la sua punta mulinante sulla paratia metallica dello yacht ereditato dal Professore così poche ore prima.
La pioggia di scintille danzò sulla superficie della pozzanghera di benzina, attizzandola di una coltre di fiamme bluastre che un istante dopo avvamparono, altissime e gialle.



Proteggendosi il volto dalle brucianti lingue di fuoco che minacciavano di lambire anche la Nemi, Augusto corse nella cabina di pilotaggio e neutralizzò le luci di navigazione mentre faceva rombare il motore; nel buio fra gli aspri scogli del promontorio Gallinarese e i plumbei marosi, l'incendio sfavillò come un faro, eclissando lo sciame di tenui scintille che accorsero al molo. “Ci sono riuscito!”
La sua determinazione lo aveva salvato. Non aveva incautamente tentato di spostare il cadavere, rischiando di inquinarlo con una propria traccia organica; non era stato così ingenuo da provare a spiegare la propria situazione a forze dell'ordine di cui non si fidava. Aveva applicato la summa degli insegnamenti del Professore: trovare soluzioni a problemi di cui non si conoscevano tutte le variabili, facendosi agente di un cambiamento vero.
Augusto si permise il lusso di chiudere gli occhi e procedere avvolto dall'oscurità più totale, cullato dal flebile beccheggio della Nemi – che a quel punto sarebbe stato opportuno chiamare ufficialmente Antikythera2.
Eppure...
“Il pronto soccorso!” urlò.
Invertì marcia senza alcuna cautela, dimentico di dove si sarebbe dovuto trovare e di quali conseguenze avrebbe avuto farsi trovare su una copia identica dell'imbarcazione che stava bruciando con un cadavere sconosciuto a bordo, poco più in là.
I motori si zittirono, e lo yacht rimase a ondeggiare con la murata di tribordo esposta al vento.
Era troppo tardi per salvare quella che Augusto aveva creduto essere La Vera Eredità del Professor Delmay. Il rogo illuminava ormai tutto il versante settentrionale dell'isolotto, e una ragnatela di luci azzurre si stava separando dalla costa, più a ovest. “Troppo tardi.”
Augusto aveva appena perso quella che c'era motivo di ritenere 'La Possibilità Che Ti Cambia La Vita'.
Con un sospiro allineò nuovamente la prua verso nord-est, e ripartì alla massima velocità, tentando invano di scacciare i rimpianti.

La mattina successiva la Guardia di Finanza trovò Augusto pronto ad attenderli per la sua pantomima; interpretò con premeditata scaltrezza la parte dell'eccentrico archeologo in lutto, e fece la bella scena di prodigarsi per aiutare le indagini che erano partite dalla sua presunta aggressione di uno sconosciuto.
La tetraggine della sera precedente, però, non lo aveva abbandonato; certo, con astuzia e audacia aveva eluso la vendetta di Philippe. Però su di lui gravava il peso di aver perso non solo il proprio mentore, ma anche il miraggio di un suo ultimo commiato; mentre i militari lavoravano attorno a lui, questa amarezza fu esacerbata dall'egoistico auspicio che con l'estremo saluto, vi sarebbe stata anche una svolta per la sua carriera, incagliata da anni nelle sale di un'università.
Dentro alla cassetta del pronto soccorso ci poteva essere la mappa di un relitto dimenticato, o uno studio che gettasse nuova luce su teorie accettate da decenni, come la nave di Kalmar trovata da Einarsson...
Ma a un tratto, il rimuginare di Augusto fu interrotto dalle parole di un giovane Finanziere.
Pareva che il figlio dell'archeologo Delmay fosse stato indagato per omicidio – nell'incendio della Gallinara, la notte precedente: su una delle barche dell'ereditiere era stato trovato un cadavere carbonizzato, poi identificato come un dipendente di Philippe.
Ma furono le precise parole del gendarme a risvegliare qualcosa nel petto di Augusto.
“È successo ieri notte, su uno yacht gemello di questo...”
E tanto fu sufficiente.



“La 'Gemella di Antikythera'!” esclamò Augusto, trattenendo appena una nota d'isteria nella voce. Il giovane archeologo si accomiatò con un sorriso, mal celando l'imbarazzo per il proprio inopportuno entusiasmo, e tornò nella cabina per il momento deserta.
“So qual'è la mia eredità.” mormorò, reso infine stridulo dal groppo in gola.
Cerìgo era la destinazione impostata sul GPS. Poco distante, ad Anticìtera (Antikythera in greco), nel 1900 era stato rinvenuto uno dei relitti più emblematici e meglio conservati nella storia dell'archeologia marittima, con un tesoro di statue, marmi, terracotte, e un'infinità di oggetti fra cui la “Macchina” che aveva fatto sognare milioni di persone: si trattava realmente del primo computer analogico? Il Professore aveva sempre sostenuto che la Macchina fosse solo la prima parte di un meccanismo più ampio, e aveva passato i primi anni '70 alla ricerca di questa leggendaria “gemella” della prima nave, che ipotizzava avesse condiviso il destino della più celebre Anticiterana; i fondi finirono, il progetto fu abbandonato, e il Professore si dedicò alle ricerche che gli portarono fama e agiatezza... ma non smise mai di credere nella leggenda da lui stesso creata.
Il cuore di Augusto riprese a battere con il fervore del giorno precedente, pur senza angoscia.
I dettagli potevano essere andati persi nel rogo della 'Nemi2', ma sapeva con certezza che il Santo Graal dell'archeologia marittima era adesso alla sua portata.
Ironia della sorte, sarebbe andato a caccia della 'Gemella di Antikythera' con una gemella della sua Antikythera; il Professore sarebbe stato estasiato.