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La notte in cui ammazzai un essere umano fu anche quella in cui scoprii tre informazioni su me stesso che cambiarono il modo in cui percepivo il mondo, più dell'omicidio in sé.
Primo: a prescindere dalla mia mira ero in grado di premere il grilletto, nello specifico con un umano nel mirino; secondo: il suono di “Daniel Diaz” era appetibile per i giornalisti – sarà stato per l'armonia delle due D, ma non facevano che ripetere il mio nome; terzo: sebbene fastidiosa, l'acromatopsia forniva qualche vantaggio. Vedere soltanto in gradazioni di grigio era sempre stata una seccatura, per qualunque situazione dal banale acquisto di una camicia, fino ai numeri da circo necessari per ottenere una patente di guida; ma guardare il mondo “in bianco e nero” garantisce anche una percezione del contrasto in grado di fare il culo a qualunque normovedente. Le ombre delle piante mosse dal vento attorno alla torreggiante araucaria potevano celare infinite minacce, e i miei nervi a fior di pelle mi inducevano a pensare che fosse proprio così; con l'illuminazione sporadica quanto violenta data dai lampi, però, la mia capacità di cogliere le più minute variazioni nelle sfumature mi fece capire subito di essere solo nel giardino. Nel frattempo le sirene di pompieri e polizia si intrecciavano in una cacofonia discordante, la loro eco smorzata dal nubifragio che stava spazzando Genova.
Attraversai il sentiero nell'erba spostandomi sulle lastre di pietra, e raggiunsi in fretta il colonnato in legno; non osai suonare il campanello, e invece mi accanii per un minuto buono contro il portone, come se avessi voluto scavare un buco nel legno con la mia manona tumefatta.
<<Apri, insonne del cazzo...>>
Non poteva aver sentito il sibilo fra i miei denti, ma un istante più tardi Roberto spalancò l'entrata di casa. Com'era prevedibile il mio travestimento lo sorprese, e mentre mi riconosceva la sua espressione mutò tanto radicalmente che fu come vedere i metaforici ingranaggi del suo cervello che si mettevano in moto per risolvere l'enigma di chi fosse l'uomo mascherato nel suo giardino.
<<Danny boy!>>esclamò infine, esalando l'aria trattenuta per lo spavento.L'ironico soprannome di tanti anni prima perse di colpo l'aura di complicità che c'era stata fra noi. Sarà stato il panico che trapelava attraverso il rigido sorriso, che non mi aspettavo di trovare sul volto del mio migliore amico, o saranno stati tutti gli sbirri della città sulle mie tracce.



<<Non siamo più alle superiori, e io continuo a non essere un ubriacone irlandese.>>
<<Danny, cazzo.>> Roberto socchiuse la porta alle proprie spalle e uscì sotto al bersò, lasciandosi avvolgere con una smorfia dall'odore dolciastro di chissà quale dei tanti animali morti durante le alluvioni.
<<Guarda come ti sei conciato, Cristo Santo. Mi spieghi cosa–>>
<<Non c'è tempo per le cazzate, Bobo. A giudicare dalla tua reazione sai già che sono nei casini, e non conosci neppure la metà di quello che mi è capitato.>>Mi voltai per esporre meglio l'occhio nero e lo zigomo livido, evidenti anche sotto il cerone bianco e la parrucca, che mi facevano sembrare un metallaro confuso sulle proprie scelte di moda piuttosto che il “Corvo” che avrei dovuto impersonare. 
<<Ma è vero quello che hanno detto alla televisione? Che hai ucciso–>>
<<E che cazzo! Mi stai sul serio chiedendo se sono un assassino?>>
Non riuscivo a giudicare se avesse paura di dirmi ciò che pensava o se non credeva che effettivamente il suo più caro amico fosse un omicida.
<<No, ma cosa dici... io non->>
<<Ora non c'è tempo. Devi preparare la clinica, e appena sei pronto chiamami al numero con cui ti ho telefonato una ventina di volte.>>
I suoi grandi occhi chiari erano tanto spalancati e acquosi che temevo stesse per piangere. 
<<La clinica? A quest'ora della notte... cosa diavolo stai combinando, Danny?>>
Quella sarebbe stata la parte più complicata da spiegare; feci un lungo sospiro mentre decidevo che girarci attorno non sarebbe servito a molto.
<<Ho una specie di cosa nel cervello, una “conformazione fibrosa artificiale”, che può scoppiare da un momento all'altro.>>
L'espressione di angoscia si era chiaramente trasformata in qualcos'altro, qualcosa del tipo “Daniel è completamente fuori di testa”. <<Io... sono un odontoiatra, per la Madonna! Cosa mi stai chiedendo di farti alla testa? Cos'è che avresti?>>

<<Bobo. Ho una bomba nel cervello, e devi togliermela prima che la polizia mi trovi.>>